Cosa NON è il Training Bionomico Autogeno
Ormai da molti anni è facile sentir parlare di Training Autogeno. Viene nominato nei più svariati contesti e da una veloce ricerca su Google troviamo molte definizioni che in parole povere lo riducono ad una “semplice” tecnica di rilassamento.
Purtroppo la diffusione di una concezione errata o, meglio, non del tutto corretta e semplicistica di questa tecnica emerge fin dalla sua origine.
Già nel 1976 il Prof. Luigi Peresson, docente di Psicoterapia presso l’Università degli Studi di Trieste e direttore del CISSPAT (Centro Italiano Studio Sviluppo Autogenes Training) di Padova, affermava che tale approccio “[…] è scarsamente e, quel che è peggio, malamente conosciuto e per di più attuato solitamente in modi scorretti. Non solo: la sua volgarizzazione in questi ultimi anni ne ha travisato presso il grosso pubblico l’autentico significato scientifico, riducendo la tecnica a semplici e banali esercitazioni di rilassamento”[1].
Dal settantasei ad oggi la situazione non è migliorata, infatti la maggior parte delle persone che afferma di aver sentito parlare del Training lo considera come una serie di esercizi utili a rilassarsi.
Di per sé non è sbagliato affermare che, attraverso l’utilizzo della metodologia autogena, si possa giungere ad uno stato di rilassamento. Ma l’errore di fondo è considerare quest’ultimo come l’obiettivo che caratterizza il metodo.
Johannes Heinrich Schultz, psichiatra e psicoterapeuta tedesco a cui si deve l’elaborazione dell’approccio autogeno, parte da una visione dell’essere umano fondata essenzialmente su elementi bio-psichici, che hanno nel concetto di “bionome”[2] il loro fondamento. Tale concetto si riferisce all’insieme di “regole biologiche” che orientano l’organismo verso uno stato di equilibrio somato-psichico “[…] la cui inattuazione, anche parziale, è da considerarsi l’elemento fondamentale di tutte le disfunzioni psichiche e psicosomatiche”[3].
Ciò significa che il Training Autogeno vuole essere uno strumento utile a conseguire uno stato di equilibrio psico-fisico perduto. Ogni essere umano possiede infatti delle risorse di autoregolazione interna che permettono all’organismo di armonizzare le sue funzionalità. Tale armonizzazione ed equilibrio vengono influenzati dalla vita quotidiana, con i suoi fattori di stress e di sollecitazione disfunzionale che portano l’individuo ad avvertire conseguenze negative psico-somato-noetiche.
Come è solito affermare il Prof. Brancaleone, noi uomini “siamo esseri ritmici”, ovvero il nostro funzionamento vitale è scandito da ritmi ben precisi che necessitano di essere conosciuti e rispettati per conseguire una situazione di benessere. I cosiddetti “ritmi ultradiani”[4] ad esempio, risultano di particolare importanza, soprattutto quelli caratterizzati da un ciclo di 90-120 minuti. Il nostro organismo segue il richiamo di questi ritmi per più di dodici volte al giorno, ogni giorno della nostra vita. Ma cosa accade in questi 90-120 minuti? È importante sapere che durante i primi 60-80 minuti di questo ritmo ci troviamo nella fase di maggior rendimento mentale e fisico. Nei successivi 10-20 minuti invece l’organismo scende nel punto più basso di rendimento. È facile capire quindi che, in quest’ultima fase, abbiamo la necessità fisiologica, di “recuperare” le energie utili a fare in modo che l’organismo possa tornare alla vitalità necessaria per affrontare la “fase attiva” della quotidianità.
Ma come è possibile, vivendo in mondo frenetico come quello attuale, rispettare questi ritmi? Apparentemente sembrerebbe non esserlo, in quanto i numerosi impegni di ogni giorno, pensiamo semplicemente alle classiche otto ore di lavoro, rendono molto difficile concedersi una “pausa rigenerante” una volta ogni 60-80 minuti al dì.
Un’altra difficoltà comune riguarda la capacità di ascoltare le esigenze del proprio corpo, che spesso vengono trascurate proprio perché non si è “abituati” a decifrare i messaggi che l’organismo ci invia. Ignorando tali segnali, giorno dopo giorno, si giunge ad una situazione di disequilibrio che può portare l’individuo ad avvertirne i sintomi e a sentire l’esigenza di “staccare la spina” per “ricaricare” la batteria ormai esausta.
Il Training Bionomico Autogeno[5], nelle sue varie forme (Training Bionomico Respiratorio[6] – TBR; Training Bionomico Autogeno di Base – TBA di base[7]; Training Bionomico Autogeno Superiore – TBAS[8]; Training Bionomico Autogeno Meditativo – TBAM) rappresenta una metodologia utile a favorire e rispettare il normale funzionamento ritmico del nostro organismo. Proprio per questa ragione esso è molto di più di un semplice insieme di esercizi di rilassamento. Risulta ovvio, rispetto a ciò che si è detto in precedenza, che, praticando il Training, ci si possa sentire “rilassati”, in quanto conseguenza del ritrovato equilibrio interiore necessario a raggiungere e mantenere uno stato di benessere.
Il Training Autogeno di Schultz è stato, nel tempo, oggetto di studio e di sviluppo che lo ha portato oggi a declinarsi in diverse forme (quelle elencate sopra), a cui si è giunti partendo dagli studi dei diretti allievi e collaboratori di Schultz fino ad arrivare a quelli compiuti dal già citato CISSPAT di Padova. Lo stesso Prof. Ferdinando Brancaleone faceva parte di quest’ultimo team (guidato in primis dal Prof. Peresson) e successivamente ha portato avanti il lavoro di ricerca e divulgazione del Training per conto dell’Istituto di Scienze Umane ed Esistenziale ed ora anche del Centro di Ricerche Noetiche. Brancaleone ha il merito di aver elaborato una modalità, per così dire, “breve e semplificata”, ma non meno efficace, del Training, denominato Training Bionomico Respiratorio. Il vantaggio di questa formulazione del metodo sta nella possibilità di utilizzo quotidiano anche da parte di chi ha poco tempo (si parla di pochi minuti) a disposizione da dedicare al “rispetto” dei propri bioritmi. È da sottolineare che tale “modalità” non esclude le altre, ma anzi, permette di integrarle, pur rimanendo, ognuna di esse, indipendente.
Imparare a conoscere il proprio organismo e le sue modalità di comunicazione ci permette di individuare i piccoli segnali che indicano la necessità di una “pausa”. Non essere in grado di avvertire tali segnali può portarci a conseguenze negative che ci impediscono di svolgere al meglio le nostre attività quotidiane. Per questo motivo apprendere l’utilizzo di uno strumento utile all’auto-regolazione è importante per il nostro benessere. Il Training è uno di questi strumenti ed imparare a conoscerne la sua vera essenza e le sue potenzialità potrebbe sorprendervi.
[1] Peresson L., “Studi sul Training Autogeno ed altri saggi”, Piovan Ed., Abano Terme, 1979, p. 43.
[2] Cfr. BRANCALEONE F., “Bionomia in breve”, Youtube, https://www.youtube.com/watch?v=sTK5_XSkAUA
[3] Schultz J. H., “Bionome Psychotherapie”, Thieme, Stuttgart, 1951
[4] Cfr. BRANCALEONE F., “Ritmi ultradiani”, Youtube, https://www.youtube.com/watch?v=D5Cf3OdoZoI
[5] Cfr. BRANCALEONE F., “Approccio Bionomico Autogeno”, YouTube, https://www.youtube.com/watch?v=46nrB--4BYQ
[6] Cfr. BRANCALEONE F., “Training Bionomico Respiratorio”, YouTube, https://www.youtube.com/watch?v=ai6WEzqjucY
[7] Cfr. BRANCALEONE F., “TBA: Terapia Bionomico-Autogena”, Franco Angeli, Milano, 2010
[8] Cfr. BRANCALEONE F., “TBA-2: Metodiche avanzate di Terapia Bionomico-Autogena”, Franco Angeli, Milano, 2011