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  • Roberto Siconolfi

Nuovi paradigmi per una nuova forma di conoscenza


Una serie di convergenze stanno celebrando la fine di un “paradigma” e la nascita di un altro.

Un concetto che rimanda ai cambiamenti ipotizzati dal filosofo Thomas Kuhn, per cui quando un modello scientifico, un paradigma, va in crisi si procede al cambio di esso con uno nuovo: si ha una “rivoluzione scientifica[1]”.

Il “razionalismo”, il “positivismo”, il “materialismo”, procedono verso la loro parabola discendente. Di converso si affermano, dal punto di vista scientifico, le teorie della fisica quantistica, sulle particelle subatomiche e delle neuroscienze; teorie a nostro avviso coniugabili a principî e saperi di tipo metafisico.

È necessario però trovare un punto di sintesi tra questi due campi, niente affatto antitetici tra loro, ma come vedremo “compenetrabili”.

Già la “fenomenologia” di Edmund Husserl, in epoca recente, tra l’‘800 e il ‘900, nacque come “terza via” a “positivismo” e “irrazionalismo”. Questa è una vera e propria “eidetica”, ovvero un “sapere delle essenze intellettuali”.

E per intellettuale, non intendiamo ciò che è esclusivamente raziocinante ed astratto, ma quel “capire” che coincide col “vedere”: “il vedere il senso delle cose”. Ciò richiama all’antichità dove era presente il concetto di eidos (idea platonica).

Fisica quantistica e metafisica: la realtà materiale come frutto della coscienza

Venendo alla quantistica, la teoria David Bohm descrive la natura “olografica” della realtà[2], “i concetti quantici”, i quali, “implicano che il mondo agisce più come un’unità indivisibile, in cui anche la natura intrinseca di ciascuna parte (onda o particella) dipende in un certo grado dalla sua relazione con ciò che la circonda”. Di conseguenza si afferma – di nuovo – il concetto di “organicismo”, e che il campo energetico di natura olografica è in grado di “influenzare” e “pilotare” il moto delle particelle nello “spazio-tempo” e quindi di orientare i processi fisici e biologici.

In sostanza per il fisico americano esiste una “forza invisibile” che, come nel Timeo[3] platonico, governa le proprietà materiali ed energetiche ed è in grado di agganciarsi sin nelle particelle più piccole (particelle elementari).

Infatti, proprio nella filosofia di Platone è necessario andare oltre la superficie della materia, per giungere a conoscere la natura essenziale e autentica della realtà; per cui la vera natura delle cose è ciò che si conosce con il “pensiero” – “pensiero” ovviamente inteso non nel senso “moderno” e “razionalistico”.

In ultim’analisi, per Bohm, abbiamo un “ordine implicato” che è in grado di dirigere l’“ordine esplicato”, definito da lui stesso un’“illusione”, proprio alla stregua della Maya dei Veda[4], gli antichissimi testi sacri indiani.

L’“ordine implicato”, che come lo spirito agisce sulla materia (l’ordine esplicato), assume le sembianze del “mondo delle idee” di Platone, che governa la realtà con meccanismi propri ed armoniosi.

L’universo, dunque, è un insieme di “stati di coscienza” che, seppur apparentemente frammentati nella dimensione dell’“ordine esplicato”, si riuniscono in un “soggetto unico”, l’“ordine implicato”, offrendo i “distillati” delle singole esperienze.

Un paradigma che rovescia completamente le conoscenze fisiche classiche precedenti secondo le quali «‘le parti elementari’ indipendenti del mondo sono la realtà fondamentale, e i vari sistemi sono solo forme e disposizioni particolari e contingenti di tali parti».

Questo cambia tutto il modo di intendere i rapporti tra “mente”, “energia” e “materia”, e afferma che la sostanza del mondo è essenzialmente “mentale”.

Altri studi in merito sono quelli del filosofo Thomas Nagel sulla centralità in natura dei fenomeni “mentali” e “coscienti”, governati da principî di tipo teleologico e “non meccanicista[5]”.

Anche Nagel elabora un sistema fisico-filosofico di sintesi, una vera e propria terza via che si dirama tra il materialismo e neodarwinismo, da un lato, e il teismo, dall’altro.

Per Nagel la visione materialistica e oggettiva del mondo non pone possibilità di spiegazione per i fenomeni coscienti, e il problema mente-corpo non è semplicemente legato al comportamento negli organismi animali viventi, ma riveste tutta la comprensione dell’intero cosmo e della sua storia.

Un’idea sostenuta anche dall’Intelligent Design[6] (ID), un progetto di ricerca le cui radici sono situate tra gli anni’50 e ‘60 e che unisce le più brillanti menti del mondo scientifico e filosofico. Anche per l’ID, l’origine della vita, le caratteristiche degli esseri viventi e la complessità della specie seguono inevitabilmente un “disegno intelligente”, e non le insufficienti leggi del caso e della “selezione naturale”. E tutto ciò pur rimanendo fuori da logiche teologico-creazioniste.

Proprio come con Nagel, uno dei bastioni a sostegno di questa tesi è il “processo di analogia”. Così come nella ricerca di interventi intelligenti in archeologia (manufatti e oggetti), nello spazio (Programma SETI), nella decifrazione di codici segreti e disegni tracciati nelle caverne, questo processo inevitabilmente riguarda anche le scienze naturali e il DNA.

Anche taluni esperimenti miranti ad attestare l’evoluzione sono frutto di un disegno intelligente, quello del ricercatore. Come con S. Miller, che voleva creare la vita da un “brodo primordiale”, riuscendo però solo a far scaturire un amminoacido.

O con il genetista E. Haeckel che voleva dimostrare l’origine comune di tutti i viventi, comparando i differenti embrioni e riproducendo il meccanismo generale di evoluzione da “uno stadio indifferenziato ad uno differenziato”. Tutto ciò, però, dopo aver alterato i disegni degli embrioni e dopo aver scelto, egli stesso, degli esempi di comodo in diverse fasi del loro sviluppo.

Questo pur sapendo che molteplici specie, diversamente dalla paleontologia e dai fossili, sono giunte a noi all’improvviso, e completamente formate – dato che squalifica la validità onnicomprensiva dell’“albero della vita” darwiniano.

Sul concetto di spazio, sempre per Bohm e alla stregua delle concezioni tradizionali: “Lo spazio non è vuoto. È pieno… ed è il terreno che permette l’esistenza di ogni cosa, inclusi noi stessi. L’universo non è separato da questo mare cosmico di energie, è un’increspatura sulla sua superficie, una specie di area di eccitazione nel mezzo di un oceano incomparabilmente vasto”.

Un’idea dello spazio “qualitativa” come intesa anche dall’esoterista René Guenon, in rottura con quella “quantitativa” cartesiana che includeva le proprietà dei corpi nei corpi stessi.

Per Guenon «dire che un corpo non è altro che estensione, se la si intende quantitativamente, significa affermare che la sua superficie e il suo volume, misuranti la porzione d’estensione occupata, sono il corpo in sé stesso, con tutte le sue proprietà, il che è manifestatamente assurdo; oppure per intenderla diversamente, bisogna ammettere che l’estensione in sé stessa abbia qualcosa di qualitativo, ma allora essa non può più servire a base ad una teoria esclusivamente “meccanicista[7]”.»

Questo concetto di “vuoto/pieno”, viene studiato anche dal fisico italiano Emilio Del Giudice nella sua “legge della risonanza”. Per Del Giudice il “vuoto esiste e non è il nulla”, è un oggetto fisico e non spaziale, e proprio grazie all’interazione col “vuoto” che il corpo acquista una sua fluttuabilità intrinseca (oscilla).

Da qui Del Giudice definisce che, quindi, due o più corpi (oggetti) possono “oscillare in fase” tra loro, oppure applicare una forza che “rompe” l’oscillazione in fase. Un “moto dal di fuori” (esocausalità), “la forza”, e uno “dal di dentro” (endocausalità), la “risonanza[8]”.

Come vediamo due concetti di moto che ricalcano l’ordine esplicato di Bohm (l’esocausalità), e l’”ordine implicato” sempre di Bohm (l’endocausalità).

Per Del Giudice quando più corpi cominciano ad oscillare in fase si ha un “dominio di coerenza”, e quando più “domini di coerenza” si mettono insieme e diventano coerenti tra loro, si può andare verso una “gerarchia di sistemi complessi” (dalla molecola all’ecosistema).

Il mondo della fase sopraccennato agisce al di fuori dello spazio-tempo, in una “terza dimensione verticale”, che è sostanzialmente quella dell’energia spirituale kundalini e più in generale delle abilità acquisite tramite le pratiche yogiche, meditative e ascetiche.

Un mondo esterno e un vuoto/pieno, assimilabile al concetto di “vuoto quantomeccanico” del fisico Massimo Corbucci, luogo dal quale si conferisce massa alle particelle e da dove avrebbe origine la materia.

Nella teoria del fisico italiano, questo luogo è un punto all’interno del nucleo stesso, e che sta al di là della dicotomizzazione delle particelle individuate per l’atomo più grande (numero atomico 112) – per Corbucci le particelle non si distribuiscono come nella “cesta delle arance”, ma in una precisa dicotomia.

Una concezione ripresa dall’insegnante professionista di Anusara Yoga Andrea Boni, il quale si ricollega all’opera di Marco Teodorani Marco Todeschini: Spaziodimnamica e Biopsicofisica[9], dove si afferma che da Cartesio fino a Platone e Aristotele, la materia veniva intesa come immersa in una sostanza definita spazio “pieno” (Platone) o “etere” (Aristotele), concetto assai simile a quello di “vuoto quantomeccanico”.

Questo centro nel nucleo atomico, dove resterebbero alcune particelle sostanzialmente vuote (9), avrebbe le caratteristiche di ciò che si trova oltre i confini dell’universo, ed è assimilabile al cosiddetto campo akashico del Vaisheshika e del Sankhya – due delle concezioni metafisico-cosmologiche dell’India post-vedica –, e allo spazio “pieno” o all’“etere”.

L’akasha è quel particolare campo, che, all’interno del gioco duale tra purusha e prakriti (essenza e sostanza), contiene la prakriti allo “stato ancora non manifesto” – ricordiamo che prakriti, la sostanza, è diversa dalla materia come concepita dai moderni.

Per Corbucci, il principio purusha (semplicisticamente tradotto come “coscienza”, “anima”, “spirito”), immutabile ed eterno, si riveste di materia (massa) impattando con prakriti nella forma di akasha, generando il tempo che ha influenza solo sulla massa.

Un punto esterno che ricalca per analogia, il principio heisenberghiano di “indeterminazione”, nel quale è l’osservatore a determinare l’azione dell’osservato.

O come nella rivisitazione della teoria dello Zero Point Energy effettuata dal chimico italiano Corrado Malanga, ovvero il centro degli assi di Evideon[10] – il suo sistema simmetrico di vettori, colori e valori, atto a spiegare in maniera onnicomprensiva l’universo.

Da questo “non luogo” la mente dà vita alle manifestazioni della “virtualità”.

Infine, sempre Del Giudice parla della fisica quantistica che, al contrario di quanto si pensa, attiene alle leggi generali che muovono il mondo “macroscopico” e della sostanziale unità tra “materia” e “psiche”, riprendendo i discorsi di Bohm, dell’“idealismo platonico”, e delle “dottrine orientali”.

Interessanti anche gli esperimenti del fisico Alain Aspect sulle “particelle subatomiche” e sulla natura “non locale” dell’“entanglement quantistico” – il fatto che uno “stato quantico” di un sistema fisico può essere descritto come sovrapposizione di più sistemi, e, data la possibilità che questi sistemi possano essere separati, le conseguenti correlazioni a distanza tra le loro quantità fisiche (anche senza alcun limite).

E ciò si ricollega sempre alla natura olografica dell’universo, ma anche alla “capacità olografica del cervello[11]” definita dal neurofisiologo Karl H. Pribram, per cui se nell’olografia l’informazione visiva globale è distribuita su tutti i punti della lastra, allo stesso modo accade per la memoria umana dove i ricordi sono immagazzinati in forma diffusa e delocalizzata simile a quella olografica, e non sono risiedenti in insiemi specifici e localizzati di neuroni, come si pensa nella fisica classica.

Una visione frattale della realtà simile alla filosofia di Plotino che capovolge la coppia platonica “tutto-parti” specularmente su sé stessa, ammettendo una simmetria, per cui l’Intelletto, totalità degli intelligibili è, a sua volta incluso, nelle forme che contiene e per cui “ogni cosa è tutto[12]”; un concetto che rimanda anche al rapporto tra l’“uno” e il “molteplice” nell’“ordine cosmico” come ben evidenziava René Guénon.

Ricordiamo che l’idea di “non località”, si riallaccia sempre alle antiche sapienze orientali sul carattere illusorio dello “spazio-tempo”.

Neuroscienze e metafisica: la mente oltre il cervello

Le neuroscienze sono l’ultimo approdo della scienza riguardante la conoscenza del cervello. Esse, grazie allo studio delle immagini cerebrali e alle nuove tecnologie della biologia molecolare, consentono di studiare il cervello in azione.

Un modello che approda alla categoria di “uomo neuronale[13]”, sul quale una vasta letteratura di lavori scientifici e saggi sono stati pubblicati, e di cui il neurobiologo Jean-Pierre Changeux è stato uno dei massimi teorici, promuovendo una vera e propria “biologia dello spirito”.

Una teoria in grado di superare le cosiddette scissioni tra anima e corpo, materia e pensiero, sociale e cerebrale, scienze naturali e scienze umane.

Lo spirito in questo senso sarebbe un vero e proprio “computer naturale che potrebbe sperimentare sé stesso attraverso una macchina isomorfa”.

Secondo rilevazioni effettuate negli stati di premorte, Near Death Experience (NDE), il dr. Sam Parnia è giunto alla conclusione che il cervello è solo un tramite della coscienza[14].

Queste conoscenze uscendo da un sistema sostanzialmente materialistico e darwinista nel quale sono state elaborate, possono riconnettersi a saperi molto più antichi, “metafisici”.

La mente in questa “riconnessione” rientra perfettamente nella definizione di “cervello esteso[15]” data dalle neuroscienze, e che consta nell’impossibilità di ridurre il cervello all’organo materiale, come direbbe il premio Nobel Gerald Edelman.

Esso, dunque, è un cervello incarnato, una definizione che calzerebbe a pennello nel nostro sistema di coniugazioni tra scienza e metafisica, e se si tenesse conto della differenza tra mente e cervello.

La mente non è il cervello, ma qualcosa di più, che si estende oltre la scatola cranica e l’organo materiale. Questo è nient’altro che un pezzo di carne, non molto diverso da un cadavere, come giustamente annota Edelman.

Riprendendo la concezione induista della mente si riesce a riportare la polarità nella giusta posizione. Infatti, il termine manas si associa alla mente, e ha la stessa radice del latino mens. Essa non va intesa in senso psicologistico ma in relazione a un organo e ad un potere, quello che agisce nella percezione, nelle relazioni motorie di un individuo e nella produzione di immagini (fantasia e immaginazione).

Un processo di produzione della realtà a partire dalle capacità del “mentale”, al quale anche le ultime scoperte in ambito neuroscientifico sono giunte con il concetto di vicariance[16]. Secondo il neurofisiologo francese Alain Berthoz la vicariance è “la sostituzione di un processo con un altro che conduce allo stesso fine”, e ancora “l’esistenza di un meccanismo innato di codifica e di trasferimento intermodale tra ciò che è percepito e ciò che è prodotto”.

Con la vicariance, Berthoz supera il concetto evolutivo di duplicazione. Il vicario, infatti, è un inventore, e la vicariance è “il nome di quei meccanismi del cervello che creano mondi”.

È come possedere un “doppio virtuale”, dei modelli che sono “reti di neuroni in grado di simulare le proprietà dei sistemi che essi rappresentano”.

Un’idea molto simile a quella sopramenzionata di “cervello olografico”, elaborato dal neurofisiologo Pribram.

Tornando al manas, esso è «la radice o il principio fondamentale dei varî sensi, più o meno allo stesso titolo di ciò che la filosofia medioevale europea aveva chiamato sensorium comune[17].»

Nelle Upanishad[18] si dice che è col manas che si vede, si ode, si gusta ecc. E non a caso, secondo alcune ricerche di laboratorio neuroscientifiche[19], si è riscontrato che nelle “visualizzazioni audio-visive” (tecniche di immaginazione che si effettuano all’interno delle pratiche meditative), vengono stimolate le stesse aree del cervello addette alla vista e all’ascolto nella realtà non immaginativa.

Di conseguenza sono i sensi ad essere articolazioni del manas, non viceversa. Il manas è dunque la forza unitaria che attiva i vari sensi. Un concetto esistente anche nel buddismo dove è presente la coscienza della mente, oltre a quella relativa ai vari organi sensoriali.

Il manas rende possibile la conoscenza percettiva, poiché è legato senza eccezioni alle potenze della realtà sensibile, che a loro volta si presentano all’individuo come rappresentazioni e impressioni soggettive (nomi) e del mondo esterno (forme) in base al principio secondo cui «Lo stesso libro scritto nel microcosmo interno con la lingua delle idee è stato scritto nel mondo esterno con la lingua della materia».

Un processo, dunque, che è sostanzialmente invertito rispetto alla teoria materialistico-evoluzionistica secondo la quale percezioni, idee, pensieri, sensazioni, ecc., si formano a partire dalla materia (dal cervello e dalla sua azione).

Quindi, se le neuroscienze ci portano a comprendere l’esatto funzionamento cerebrale in una chiave unificante, complessiva, “totale”, a questo punto il passaggio verso un ritorno a una concezione metafisica della mente è possibile.

Interessante, sempre in ambito cognitivo e neuroscientifico, è che il manas non ha una funzione semplicemente psicologica. Associato ad una data individualità, è il potere che ritaglia la totalità dell’esperienza, in modo che si prenda coscienza di alcune parti di essa escludendone altre, che vengono rigettate nel subconscio e nell’inconscio.

Un sorpasso del darwinismo, per un ritorno a concezioni metafisiche del cervello e della realtà più in generale, può avvenire anche grazie alla stessa teoria di Changeux riguardante la “forma” in ambito multidisciplinare, ovvero “un'organizzazione nello spazio e nel tempo di elementi semplici”.

In La vie des formes et les formes de la vie[20] Changeux ammette la possibilità di un ipotesi metafisica nella generazione di esse, oltre a quella di tipo “darwiniano”.

Secondo quest’ultima: «Il fenomeno si trova nello spazio e nel tempo all'interno di una serie temporale di cause ed effetti. Si occupa di una stratificazione a livello organizzativo e sulla transizione da un livello di organizzazione a un altro, qualunque sia il livello. Il presupposto è che il passaggio da un livello all'altro richiede due elementi fondamentali: un generatore di diversità e un sistema di selezione».

Invece, quella di tipo metafisico «fa appello alla teologia naturale di Platone a John Paley o all'Abbe Pluche: le forme sarebbero astrazioni non materiali, non fisiche, extra-mentali, "essenze", create da un "demiurgo" o "grande orologiaio". Si troverebbero, secondo Platone, hyperouranios topos, vale a dire oltre il cielo ... Queste idee riaffiorano oggigiorno tra i seguaci del “design intelligente”».

Un modello, dunque, che torna a dare il ruolo primario alle essenze, che sono esse stesse a “formare”, a “plasmare”, la materia e non viceversa!

[1] T.S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino, Einaudi, 2009

[2] D. Bohm, Universo, mente, materia, Milano, Red Edizioni, 1996

[3] Platone, Timeo, (a cura di G. Reale), Milano, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 2003

[4] R. Panikkar, I Veda. Mantramañjarī, Milano, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 2001

[5] T. Nagel, Mente e cosmo. Perché la concezione neodarwiniana della natura è quasi certamente falsa, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2015.

[6] F. Fratus, Il dibattito sull’Intelligent Design, 2008, https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=20841

[7] R. Guénon, Il regno della quantità e i segni dei tempi, Milano, Adelphi, 2009

[8] E. Del Giudice, Fisica quantistica e vuoto Emilio del Giudice Rivista di filosofia neo-scolastica. 102, no. 2, (2010): 253 Università Cattolica del Sacro Cuore

[9] M. Teodorani, Marco Todeschini: Spaziodinamica e Biopsicofisica, Cesena (FC), Macro Edizioni, 2006

[10] C. Malanga, Evideon 3, 2015, https://archive.org/stream/CorradoMalanga/Italian/2015-08-05-Malanga-Evideon3.ComprensioneEGuarigione_djvu.txt

[11] K. H., Pribram, Brain and Perception: Holonomy and Structure in Processing, Mahwah - New Jersey (USA), Lawrence Erlbaum Associates, 1991

[12] Plotino, curatore G. Reale, Enneadi, Segrate (MI), Mondadori, 2002

[13] J.P. Changeaux, L'uomo neuronale, Milano, Feltrinelli Editore, 1993

[14] F. Schiavone, Coscienza e cervello, 2012, https://www.neuroscienze.net/coscienza-e-cervello/

[15] G. M. Edelman, Seconda natura. Scienza del cervello e conoscenza umana, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2007

[16] A. Berthoz, (traduttore S. Ferraresi), La Vicarianza. Il nostro cervello creatore di mondi, Torino, Codice Edizioni, 2015

[17] J. Evola, Lo Yoga della potenza, Roma, Edizioni Mediterranee, 2010

[18] Gaudapâda, Upanishad, (a cura di Raphael), Milano, Bompiani, 2010

[19] E. F. Poli - Metafisica e neuroscienze, Milano, 2014, https://www.youtube.com/watch?v=ALTRd58-f1Y

[20] J. P. Changeux, La Vie des formes et les formes de la vie, Paris, Odile Jacob, 2012

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