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  • Lisa De Luca

Su la mascherina, giù la maschera!



Imparerai a tue spese

che nel lungo tragitto della vita

incontrerai tante maschere e pochi volti.

(Luigi Pirandello)





La mascherina. Fino a poco tempo fa era un oggetto legato ad ambiti particolari e ben delineati e, se pensavamo a questo oggetto, molto probabilmente il primo rimando che ci veniva in mente era la mascherina chirurgica, il dispositivo medico utilizzato dal personale sanitario in situazioni specifiche quali, ad esempio, un intervento chirurgico, appunto.

Da qualche tempo, invece, per il particolare momento che stiamo vivendo, la mascherina è diventata un oggetto di uso quotidiano e comune e ci siamo trovati tutti nella necessità di doverci “confrontare” con essa.

Diverse le opinioni sulla sua utilità o meno, alcune addirittura inclini a sostenere che sia più di nocumento che di beneficio.

Fastidiosissima per chi porta gli occhiali perché, oltre ad avere naso e bocca tappati, in pochi secondi si ritrova anche con le lenti appannate e il mondo gli appare non solo senza sapore e senza odore, ma anche sfuocato.

Emblema della salvezza e della difesa estrema dal famigerato virus e da tutti i suoi portatori tanto da indurre in molti di noi strani fenomeni – del tutto irrazionali, ma, evidentemente, molto importanti dal punto di vista psicologico – per cui si arriva agli estremi di indossarla anche quando si sta da soli oppure, in ottemperanza alle vigenti normative, di portare la mascherina in auto se si viaggia con il marito o la moglie (rigorosamente uno sul sedile anteriore e uno sul sedile posteriore!)…quello stesso marito e quella stessa moglie con cui abbiamo pranzato e con cui abbiamo dormito…

Bah…strane regole del gioco di questo strano tempo…

Emblema, anche, per i più combattivi, del “bavaglio” che da più fronti sembrano voler imporre a tutti perché – si sa – quando si gioca o tutti rispettano le regole oppure il gioco non si può fare.

Ecco però che, accanto a tutto questo, io, nella mascherina, vedo anche altro e, insieme a tutto quello che non mi piace affatto di questo strumento – sia considerato a livello pratico che a livello metaforico (ma mi verrebbe da dire simbolico) – vedo anche qualcos’altro che, invece, mi piace parecchio.

Per seguire queste mie riflessioni è necessario esplicitare il presupposto di base, che attiene alle categorie del simbolo e del simbolico.

Intendo: il simbolo, a differenza di quanto comunemente si crede, non è affatto qualcosa di astratto né qualcosa di scarso valore (ad esempio, di una esigua somma di denaro si usa dire che ha “valore simbolico”), ma, nella sua accezione etimologica e originaria rimanda a syn-ballein che significa “mettere insieme” e, infatti, anticamente era un oggetto materiale che veniva spezzato in due e che permetteva al possessore di una delle due metà di ri-conoscere l’altro laddove le due parti dell’oggetto precedentemente spezzato combaciassero.

Niente di astratto, quindi, anzi, qualcosa invece di molto materiale.

Proprio per questo suo valore intimamente reale, il simbolo non è affatto una vuota forma, ma qualcosa che permette di unire e ri-unire delle entità che si siano – o siano state – separate e permette di unirle e riunirle non “per modo di dire”, ma realmente.

Una caratteristica significativa del simbolo è la sua capacità di operare – realmente – indipendentemente dal fatto che noi si sia o meno consapevoli della sua forza, ovvero: quando un simbolo agisce – e i simboli sempre agiscono – non importa che io sappia che sta agendo, non importa che io me ne renda conto perché il simbolo non ha “bisogno” della mia coscienza né della mia consapevolezza per essere attivo né per essere attivato.

Il simbolo opera quello che deve operare, se poi io ne colgo parte dell’operazione (non mai tutta, comunque, perché la forza operante simbolica è sempre solo parzialmente coglibile) buon per me, ma il simbolo, in sé, di niente viene accresciuto dal mio accorgermi.

Viceversa, di niente viene diminuito dalla mia eventuale indifferenza al suo operare.

Parallelamente – e solo in maniera apparentemente contraddittoria – se so come fare, posso certamente io stesso attivare un simbolo, laddove lo desideri e/o lo ritenga utile o necessario.

Bene, premesso questo, vediamo alcune declinazioni simboliche della mascherina.

La mascherina chiude il naso e la bocca ovvero impedisce – realmente – l’esercizio pieno del senso dell’olfatto e del senso del gusto.

Ma l’olfatto e il gusto sono due sensi antichi e primordiali e, infatti, sono i primi che utilizziamo nel nostro interfacciarci con il mondo: il neonato succhia il latte, primo nutrimento e, attraverso la bocca, il bambino piccolo comincia a imparare a conoscere il mondo, infatti c’è una specifica fase dello sviluppo in cui il bimbo si porta gli oggetti alla bocca e li mordicchia e li “assaggia”.

Portando gli oggetti alla bocca, il piccolo comincia a “conoscerli”.

L’olfatto, molto sviluppato in molteplici specie animali, si è certamente attutito nell’essere umano, e infatti abbiamo progressivamente perso una bussola molto efficace per il nostro muoverci nel mondo. L’odore non mente: quello che profuma “va bene”, quello che puzza “non va bene”.

Chi di noi, oggi, sarebbe in grado di distinguere un “amico” da un “nemico” solo “annusandolo”?

Pochi. Peccato, perché se fossimo tutti in grado di fare ancora questo, le relazioni tra esseri umani sarebbero molto più semplici.

Ecco allora che, chiudere il naso e la bocca, a livello simbolico, può significare anche, tra le altre cose, impedire l’utilizzo di quei sensi che rimandano alla nostra natura più istintuale, quella sicuramente meno “raffinata”, ma certamente utilissima ed efficace.

Ma con il naso noi anche respiriamo, cioè facciamo entrare dentro di noi il primo e più importante elemento di cui proprio non possiamo fare a meno, ovvero l’aria.

Si può stare molti giorni senza cibo, alcuni senza acqua, ma, senza aria, si sopravvive solo una manciata di secondi.

Chiudere il naso, quindi, è come dire “impedire la vita”, tanto più se vogliamo anche aggiungere che, a livello spirituale, lo spirito è assimilato proprio al soffio, all’aria, al vento e che – non a caso – pressoché la totalità delle pratiche religiose assegna estrema importanza alla respirazione.

Ma con la bocca noi anche parliamo, cioè facciamo uscire da noi le parole che – si sa – non sono vuote e casuali forme, ma onde vibratorie creatrici, parti effettive del nostro stesso essere.

Chiudere la bocca, quindi, non significa solo impedire a una persona di parlare, nel senso più superficiale del termine, ma significa anche, a livello profondamente simbolico, impedirgli di essere e di manifestare il suo essere.

Chiudere naso e bocca insieme sembra quindi l’emblema dell’impedimento al far entrare e far uscire in noi e da noi, cioè mettere una barriera tra me e il mondo, rendere difficile l’incontro con l’altro-da-me costringendomi a una sorta di isolamento sensoriale, tanto più aggravato dall’altro famigerato dispositivo divenuto uno dei leit motiv di questo periodo, ovvero i guanti, che inibiscono il senso del tatto, che escludono la pelle dallo scenario sensoriale e che, quindi, confondono il “confine” che separa il mio “io” dal “non-io”.

Ecco quindi che, se considerata sotto questi aspetti, la mascherina può ben essere eletta a simbolo perfetto non solo della paura del contagio e del nostro tentativo di difesa, ma anche dell’isolamento e della volontà – vera o presunta – di “imbavagliarci” tutti.

Ma – e qui viene il bello – abbiamo poco sopra accennato al fatto che il simbolo non solo agisce indipendentemente dal nostro essere consapevoli o meno della sua azione, ma anche – soprattutto – che esso ha una tale ridondanza di sensi e significati che è per noi impossibile coglierlo nella sua totalità, sia consciamente che inconsciamente.

Questo è ciò che rende i simboli – da sempre – strumenti potentissimi e questo è il motivo per cui l’universo simbolico è sempre stato gestito da chi questo universo lo sa padroneggiare o, almeno, esplorare meglio degli altri.

E questa è altresì la ragione per cui bisogna stare attenti – ma molto attenti – a “giocare” con i simboli, perché, o si conoscono profondamente le “regole del gioco” o ci si può facilmente trovare di fronte a qualcosa di imprevisto.

E, infatti, se la mascherina ci impedisce l’uso pieno dell’olfatto e del gusto, proviamo a riflettere su che cosa accade, nella nostra normale esperienza quotidiana, quando ci vengono improvvisamente chiusi naso e bocca, quando non possiamo inalare né espellere l’aria.

Se non ci riesce semplice calarci in questa situazione, immaginiamo che qualcuno ci metta una mano sulla bocca e sul naso per impedirci, per esempio, di urlare.

Ebbene, la prima cosa che facciamo, senza nemmeno pensarci, è spalancare gli occhi.

Non importa se lo facciamo per sorpresa o per paura, ma lo facciamo.

D’altra parte, anche in questo strano tempo, non sono mancate né la sorpresa né la paura.

Che cosa voglio dire con questo?

Voglio dire che – sempre – l’uomo mette in atto i suoi eccezionali meccanismi di compensazione e, quando una delle sue “dotazioni” difetta, ecco che alcune o tutte le altre si attivano per sopperire, nel miglior modo possibile, a quella che viene percepita come una mancanza, una deficienza.

Perché lo scopo principale è – sempre – mantenere il sistema in equilibrio.

In questa prospettiva, accanto a tutti i lati negativi della mascherina - siano essi fisici o psicologici, reali o astratti, veri o presunti – io ne scorgo uno positivo.

Ben nascosto, ma positivo.

Io vedo che sta succedendo proprio quello che succede nell’esempio sopra riportato, ovvero che – simmetricamente e in maniera complementare rispetto alla chiusura di naso e bocca – si sta verificando una diffusa apertura di occhi.

Stiamo vedendo meglio molte cose, che c’erano anche prima, ma che – prima – cioè prima che il nostro naso e la nostra bocca fossero “tappati” – faticavamo a vedere.

Non saprei valutare – a livello numerico e statistico – l’entità di questo fenomeno, ma, di certo, almeno per qualcuno, sono molto più chiare alcune cose: per alcuni si tratta della propria scala di valori, per altri delle proprie priorità, per altri ancora dei giudizi sulle persone che ci stanno vicino.

Per qualcuno, anche, si è messo in moto un processo di presa di coscienza profonda non solo di se stesso e del suo mondo, ma, più in generale, del mondo, inteso in senso molto ampio.

Stanno come magicamente venendo alla luce fatti che non conoscevamo, dinamiche che nemmeno sospettavamo, circostanze sulle quali non avevamo mai riflettuto.

Insieme alla chiusura, all’isolamento, alla paura, all’ angoscia, allo sconcerto, si è aperto un varco di luce, di chiarezza, di consapevolezza.

Si stanno aprendo molti occhi. E stanno cadendo molte maschere.

Machere personali e maschere collettive.

Chissà se qualcuno aveva previsto tutto questo.

Chissà se qualcuno ha utilizzato i simboli in maniera consapevole oppure se si è trattato di un fenomeno casuale, leggibile solo a posteriori in maniera simbolica.

Chissà…ma nemmeno importa: i simboli, come abbiamo detto, operano indipendentemente, totalmente incuranti di noi e della nostra volontà di controllo e di decifrazione.

L’aspetto affascinante rimane questa eccedenza che, peraltro, caratterizza la vita in tutte le sue manifestazioni.

Una eccedenza che sempre ci sfugge e che, per quanto ci sforziamo, mai riusciamo ad afferrare tutta.

Una eccedenza sicuramente intelligente e, io credo, molto probabilmente ironica e giocosa, nel senso più profondo di questi termini.

L’eccedenza tipica del Simbolo, appunto.

E, quando l’uomo vuole maneggiare il Simbolo, deve stare attento, ma molto attento!

Il Simbolo è cosa da lasciare a sciamani, sacerdoti, alchimisti e maghi.

Tutti gli altri dovrebbero occuparsi delle cose loro, ma sarebbe bene che lasciassero stare i Simboli…altrimenti potrebbe accadere che, tra un virus mutante e una “fase 1”, tra un tampone e una “fase 2”…ci si ritrovi in un mondo pieno di mascherine, ma, chi lo sa, forse con molte meno maschere

E allora: “su la mascherina, giù la maschera” e magari, chissà, forse sta iniziando il tempo in cui, nel lungo tragitto della vita, cominceremo a incontrare molte mascherine dietro le quali, però, ci saranno forse molte meno maschere e molti più volti.

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