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Ferdinando Brancaleone

DAL “QUI-ED-ORA” ALL’ “OLTRE” Riflessioni antropologico-esistenziali


[1]

“Ad onta delle numerose differenze, le concezioni dei vari filosofi esistenzialisti presentano alcuni temi comuni; in particolare due: 1) il richiamo alla finitudine umana; 2) il peso centrale attribuito alla categoria della possibilità”.

(L. Geymonat) [2]

Queste due tematiche risultano strettamente connesse alla specifica e fondamentale importanza riconosciuta alla “esistenza” nei confronti della “essenza” e, in maniera conseguente, al singolo individuo, in cui l’esistenza si realizza, al suo modo di essere nel mondo, nonché al complesso dei rapporti che egli è in grado di stabilire con gli altri individui.

E’, comunque, dal pensiero del primo Heidegger che, di solito, si suole far principiare il movimento di pensiero che sarà poi denominato “esistenzialismo” e che, caratterizzando un clima culturale, le cui radici vanno ricercate nella crisi generale europea, esplosa con la prima guerra mondiale e aggravatasi con la seconda, esercitò, oltre che in campo strettamente filosofico ed antropologico, “[…] un’incisiva influenza su una notevole parte del pensiero letterario, artistico, religioso, influenza ancora oggi riscontrabile in un gran numero di autori”[3].

Quando, nel 1926, terminò di scrivere la sua opera Essere e Tempo (pubblicata poi nel 1927), Martin Heidegger era ancora vivamente legato al suo maestro, Edmund Husserl, tanto che proprio a lui volle dedicare questa opera. Ed è in particolare ad Husserl e ad Heidegger, oltre che a Jaspers, che intese riportarsi Ludwig Binswanger, nell’elaborare quell’indirizzo clinico-antropologico, che va sotto il nome di Daseinsanalyse, e che in Italia è conosciuto, per lo più, sotto la denominazione di Analisi Esistenziale o, meglio, Antropoanalisi[4].

Scrive Binswanger, riferendosi specificamente a quell’ambito dell’Antropologia che, a partire dalla pubblicazione della Psicopatologia generale (1913) di K. Jaspers, viene denominato psicologia comprensiva:

La psicologia non ha mai a che fare con un soggetto privo del suo mondo, perché un simile soggetto non sarebbe altro che un oggetto, né tantomeno con la scissione soggetto-oggetto, perché questa scissione non la si può intendere se non come avente alla base l’esserci umano nel mondo. La psicologia inizia quando comprende la presenza umana come originario essere-nel-mondo e considera i determinati modi fondamentali in cui la presenza umana di fatto esiste[5].

In tale prospettiva, Binswanger, sulla scorta della Fenomenologia di Husserl, si conferma sulla linea del pensiero di Jaspers, secondo cui non è possibile studiare l’esistenza umana con le metodiche oggettivanti, proprie delle scienze naturali, dal momento che “[…] l’uomo non è (ist) al mondo come lo sono le cose, ma si dà (es gibt) un mondo attraverso lo spazio e il tempo […] con quell’intenzionalità che è tipica dell’uomo e non delle cose”[6].

Applicando il metodo fenomenologico, Binswanger, quindi, propone di evitare di sovraccaricare l’esistenza di una struttura teorica, a lei estranea, al fine di permettere che essa si manifesti all’evidenza così come essa è; in tal modo, “[…] ciò che appare non saranno le sue carenze o i suoi eccessi, ma i suoi modi d’essere che, là dove l’esistenza non è precodificata, non si riveleranno come disfunzioni, ma semplicemente come funzioni […] di un certo modo di essere-nel-mondo e di progettare un mondo”[7].

Accogliendo la lezione di Husserl e di Jaspers, e sulla scorta del pensiero di Heidegger, quindi, Binswanger denomina il proprio indirizzo antropologico Daseinsanalyse (letteralmente analisi dell’esserci): “[…] nel ci dell’esser-ci, nel da del Da-sein viene in luce quel senso per cui l’uomo è il luogo in cui c’è (ist da) la manifestazione dell’essere, dove si esprime quell’originario rapportarsi dell’essere all’uomo, in cui l’esistenza umana consiste”[8].

E’ proprio in questo senso che già Heidegger aveva affermato che “l’essenza dell’esserci è l’esistenza”[9], laddove “[…] per esistenza Heidegger intende quell’originario ec-sistere, per cui l’uomo non è al mondo come le cose che in-sistono semplicemente dentro il mondo, ma è al mondo come colui che lo apre e lo dischiude”[10].

A partire da tali premesse, Binswanger ne conclude che “[…] non si può considerare l’uomo nell’isolamento della sua soggettività, […] ma nella sua originaria apertura al mondo, essendo questa apertura non il prodotto di una relazione, ma la dimensione originaria dell’umana esistenza”[11].

E’ da rilevare come, sotto tale profilo concettuale, assuma particolare importanza il concetto di mondo, che ricorre in tre fondamentali accezioni, che “[…] hanno trovato in ambito filosofico la loro fondazione, e nell’indirizzo fenomenologico della psichiatria la loro applicazione più rigorosa”[12].

Ci si riferisce, innanzitutto, al concetto di “visione del mondo” (Weltanschauung) messo a punto da W. Dilthey e da K. Jaspers, al concetto di “mondo-della-vita” (Lebenswelt) descritto da E. Husserl, e (infine) al concetto di “essere-nel-mondo” (In-der-Welt-Sein) indicato da M. Heidegger come tratto essenziale dell’umana esistenza[13].

Ed è in particolare al concetto heideggeriano di essere-nel-mondo che Binswanger intende specificamente collegarsi nel proporre la propria visione antropologico-esistenziale. Per lui, infatti, il concetto di mondo comprende, in un insieme unitario e strutturato, la persona e il suo mondo: “[…] ogni Sé implica un mondo e il mondo implica necessariamente un Sé”[14].

Per tale motivo, “[…] essere-nel-mondo implica una dialettica correlazione tra i due poli del Sé e del mondo: non vi può essere un polo senza l’altro, […] il mondo altro non è se non la struttura delle relazioni significative in cui la persona esiste”[15].

Su tali basi, Binswanger tende a ribadire la fondamentale importanza della distinzione tra i tre aspetti caratterizzanti l’esistenza di ogni individuo come “essere-nel-mondo”:

Il primo aspetto è quello che va sotto il nome di “Umwelt”, che si potrebbe tradurre in maniera letterale “mondo circostante”: è, questo, ciò che generalmente viene chiamato ambiente; è il mondo in cui regnano le leggi naturali, è il mondo delle pulsioni biologiche, il mondo degli istinti, delle forze deterministiche […]

Vi è poi il “ Mitwelt”, letteralmente “mondo con”: è questo il mondo dei propri simili, potremmo dire il mondo dei rapporti interpersonali, per cui due persone in rapporto tra di loro costituiscono sempre qualcosa di più che oggetti l’una per l’altra […]

Il terzo modo, il terzo aspetto del mondo è costituito dall’ “Eigenwelt”, o “mondo proprio”: tale mondo potrebbe essere definito come il mondo dell’autocoscienza; è questo, il mondo proprio e caratteristico degli esseri umani[16].

Binswanger tiene a sottolineare che ogni individuo vive simultaneamente sia nell’Umwelt, sia nel Mitwelt, sia nell’Eigenwelt. L’errore di prospettiva può scaturire, quindi, quando un approccio antropologico, specialmente a livello clinico, tende a dare importanza assoluta ed esclusiva ad un aspetto ad esclusione degli altri.

Secondo tale prospettiva, ad esempio, Binswanger sostiene, da una parte, che “[…] la genialità di Freud fu di scoprire ed analizzare l’uomo nel suo Umwelt (il mondo delle pulsioni, degli istinti e degli altri aspetti del determinismo biologico)”[17]; ma, d’altra parte, è critico nei confronti dello stesso Freud “[…] per aver trattato in maniera esclusiva questo modo del mondo (l’Umwelt), per cui “[…] la psicoanalisi classica ha purtroppo solo un concetto superficiale ed epifenomenico, e quindi alquanto oscuro, del Mitwelt, senza avere per altro un concetto vero ed approfondito dell’Eigenwelt”[18].

Un ulteriore, peculiare concetto dell’antropologia esistenziale binswangeriana è quello che può essere ricondotto al termine “presenza”:

Con questo termine (Anwesenheit), dove ricorre quel Wesen (essenza) in cui si esprime l’essenza dell’uomo, Binswanger, sempre seguendo la lezione di Heidegger, individua l’orizzonte dell’indagine psicologica che dovrà osservare in che modo le singole esistenze declinano la loro presenza, il loro modo originario di essere aperte all’essere. Tale modalità appare nelle forme in cui l’umana presenza (Dasein) si temporalizza (sich zeitigt), si spazializza (Raum gibt), si mondanizza (Weltlicht), coesiste (Mit-dasein)[19].

“Tempo”, “Spazio”, “Mondo”, “Coesistenza”, strutture fondamentali del Dasein, inteso come presenza, non sono (secondo la lezione di Jaspers) realtà indagabili con il metodo delle scienze naturali, in quanto esse rappresentano “[…] le modalità con cui l’esistenza articola la sua presenza, il suo modo di essere al mondo”[20].

In quanto “originariamente aperta al mondo”[21], l’esistenza umana è definita, secondo Binswanger, dalla sua progettualità. L’uomo, infatti, “[…] non appare legato ad uno specifico schema del mondo, avendo egli molteplici possibilità di progettare il mondo”[22].

Tale concetto di “progetto” è mediato da M. Heidegger, per il quale “[…] l’uomo può progettare (ent-werfen) un mondo, e in questo progetto trova la sua identità (Selbstheit)”[23].

Ma ogni progetto-nel-mondo (Ent-wurf) è definito dal proprio essere-gettato-nel-mondo (Ge-worfen), ogni oltrepassamento (Über-schreitung) presuppone una fatticità (Factizität), ogni trascendenza (Transzendenz) una situazione (Situation) fondamentalmente intrascendibile in quanto legata alla storicità di ogni esistenza. Quando l’essere-gettato-nel-mondo ha il sopravvento sul progetto-nel-mondo, quando la fattività ha il sopravvento sull’oltrepassamento, allora, dice Binswanger, abbiamo quella caduta esistenziale (Verfallen) o, come vuole l’espressione di Heidegger, quella deiezione, in cui l’esistenza, invece di esprimersi nella possibilità “propriamente sua” (eigen) e quindi autentica (eigentlich), rassegna il suo poter-essere a una possibilità già data e quindi inautentica (uneigentlich)[24].

In quanto gettato-nel-mondo, l’uomo è pre-occupato dal mondo, nel senso che il mondo lo occupa prima che l’uomo possa scegliere se occuparsene o meno. A tale pre-occupazione Heidegger dà il nome di cura.

D’altra parte, “[…] come poter-essere, l’uomo non è solo la possibilità di realizzare il suo progetto, ma anche la possibilità di mancarlo”[25]. E’ tale possibilità mancata che Heidegger denomina deiezione e che, nell’espressione tedesca Verfallen, esprime il senso di una caduta (fallen) dell’uomo al livello delle cose del mondo.

In tal modo, le cose “[…] da invitanti diventano incombenti, da allettanti angoscianti”[26], con la conseguenza che “[…] in luogo della possibilità di far sì che il mondo accada, subentra la non-libertà dell’essere dominati da un determinato progetto di mondo non scelto, ma subito”[27].

E’ in tale ordine di considerazioni che, strettamente connessi al concetto di progettualità risultano quelli di situazione e di trascendenza, nel senso che l’essere umano (sempre “limitato” e “contingente”) è dotato della peculiare capacità (tipica della “dimensione noetica” umana) di trascendere ogni situazione immediata attraverso l’oltrepassamento e la progettualità.

In particolare, il concetto di situazione, era stato introdotto da K. Jaspers per indicare “[…] il rapporto che ogni uomo ha col mondo da cui riceve limiti e condizionamenti in quanto ognuno è nato in un luogo, da certi genitori e non da altri, in una certa cultura, con un certo carattere, con determinate possibilità connesse al suo ambiente”[28].

Ma, ogni situazione “[…] si offre anche al suo trascendimento”[29], inteso come “[…] oltrepassamento e spazio in cui si dischiudono le possibilità dell’esistenza”[30], attraverso un’inevitabile tensione (Spannung) tra ciò che condiziona l’uomo e ciò che, a partire da quella condizione, gli permette di “oltrepassare il limite”[31].

In ogni “istante” della propria “esistenza” l’uomo è (potenzialmente) aperto alla trascendenza: a un “di-più” (über), che caratterizza l’essere umano, immerso nella “tridimensionalità” del “mondo delle cose” (Umwelt), del “mondo della relazione” (Mitwelt) e del proprio “mondo interiore” (Eigenwelt), ma sempre “proiettato” verso un “oltre” (Überwelt), cui lo sospinge incessantemente il suo essere dotato (croce e delizia!) di un “nous” (dimensione noetica), mai appagato dal “de-finito” ma ognora proiettato verso un “in-finito” che “oltre-passa” ogni situazione contingente.

[1] Il presente articolo è frutto di una riproposizione e revisione di quanto già esposto dall’autore nel suo volume “Existentia. Rassegna storico-critica di Antropologia Clinica ad indirizzo esistenziale”, OFB-Editing, Caserta, Sett. 2004 (con particolare riferimento al cap. 4, pp. 31-40).

[2] GEYMONAT L., Immagini dell’uomo. Filosofia, scienza e scienze umane nella civiltà occidentale (vol. III), Garzanti, Milano, 1989, p. 406.

[3] Ibidem, p. 406.

[4] Cfr. GALIMBERTI U., Psicologia, Garzanti, Torino, 1999, p. 61.

[5] BINSWANGER L., Per un’antropologia fenomenologica (1921-1941), Feltrinelli, Milano, 1970, p. 101.

[6] GALIMBERTI U. Op. cit., p. 55.

[7] Ibidem, p. 55.

[8] Ibidem, pp. 55-56.

[9] HEIDEGGER M., Essere e Tempo (1927), trad. it. UTET, Torino, 1978, p. 106.

[10] Citato in GALIMBERTI U. Op, cit., p. 56.

[11] GALIMBERTI U., Op. cit., p. 56.

[12] Ibidem, p. 661.

[13] Cfr. Ibidem, p. 661.

[14] BRANCALEONE F., L’Orientamento Esistenziale, in Mastroianni-Minio, Psicoterapie a confronto, Ed. Thyrus, Arrone (TR), 1987, p. 174

[15] Ibidem, p. 174.

[16] Ibidem, p. 174.

[17] Ibidem, p. 174.

[18] Ibidem, p. 174.

[19] GALIMBERTI U., Op. cit., p. 56.

[20] Ibidem, p. 56.

[21] Ibidem, p. 56.

[22] BINSWANGER L., Psicoanalisi, antropoanalisi, psicoterapia, trad. it. Feltrinelli, citato in Brancaleone F., Op. cit. p. 174.

[23] GALIMBERTI U., Op. cit., p. 792.

[24] Ibidem, p. 56.

[25] Ibidem, p. 793.

[26] Ibidem, p. 56.

[27] BINSWANGER L., citato in Galimberti U., Op. cit., p. 56.

[28] GALIMBERTI U., Op. cit., p. 978.

[29] Ibidem, p. 978 (il corsivo è mio).

[30] Ibidem, p. 978.

[31] Cfr. Ibidem, p. 378.

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