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Valentina Tettamanti

Focalizzazione e Defocalizzazione: dal Training Autogeno alle “nuove frontiere” della scienza


L’Approccio Bionomico-Autogeno ha nel Training Autogeno di Base (a livello applicativo-metodologico) il suo “fondamento”.

Tale metodologia mostra aspetti decisamente attinenti all’ambito delle “nuove scienze”. Infatti, la componente essenziale del Training Autogeno di Base (TAB) non è da ricercare tanto nella “letteralità” delle formule che lo compongono, quanto piuttosto nella capacità, che si apprende tramite l’esercizio, di focalizzazione e de-focalizzazione.

La prima, cioè la capacità di focalizzare, si impara attraverso la ripetizione delle “formule standard” che compongono il TAB e che permettono di dirigere l’attenzione, ad esempio, su determinate parti del corpo, o sulle formule stesse (nel caso del Training Autogeno Superiore e Meditativo).

La capacità di defocalizzazione, invece, si acquista tramite la “formula conclusiva”, quella che viene ripetuta alla fine degli “esercizi standard”, ovvero “lascio che tutto avvenga” (che corrisponde a “io sono calmo”). Tale formula permette di “lasciare andare” la mente (e non solo, in quanto l’individuo nella sua “interezza” viene coinvolto da tale esperienza), permettendole di non dirigere più l’attenzione su qualcosa di specifico, ma di essere libera di “fare” ciò che ritiene “necessario” in quel determinato momento.

In questo modo si impara a “lasciare il controllo”. Cosa che risulta essere molto difficile soprattutto per l’individuo occidentale, il quale, fin da piccolo, ha appreso a mantenere il controllo, inibendo la propria spontaneità, soprattutto interiore, a favore di una rigidità “necessaria” per “sopravvivere” in un determinato contesto sociale che impone regole e vincoli.

Saper “lasciare andare” permette l’attivazione del significato racchiuso nei termini “bionomico” e “autogeno”, ovvero la possibilità di lasciare campo libero all’auto-generarsi (autogenia) delle leggi (nomos) della vita (bios). In tal modo l’organismo, inteso come sistema complesso somato-psico-noetico, riprende le “redini” e torna a gestire autonomamente quelle funzionalità “bloccate” dal controllo forzato, esercitato dalla volontà del singolo (a sua volta condizionato dall’ambiente circostante).

L’importanza di imparare a focalizzare e defocalizzare permette il generarsi di “esperienze” che vanno ben al di là della sola auto-regolazione, in quanto le persone sperimentano stati noetici “differenziati”, che permettono loro di vivere situazione “insolite” che, normalmente (nella maggior parte dei casi), generano una sensazione di benessere e di incremento “energetico” dell’individuo. (1)

Focalizzazione e defocalizzazione, quindi, rappresentano un “potente” strumento per accedere più facilmente alle potenzialità interiori di ciascuno. Ciò è dimostrato anche dal fatto che, in ambiti differenti rispetto a quello specifico del Training Bionomico Autogeno, ne è stata evidenziata l’importanza.

In relazione ai vari esperimenti nel campo dell’intenzione, Lynne McTaggart afferma che alcuni studiosi, nello specifico la neuroscienziata Sara Lazar, il neuroscienziato e psicologo Richard Davidson e lo psicologo Stanley Krippner, hanno dimostrato che noi esseri umani “… possiamo rimodellare particolari porzioni del nostro cervello a seconda dei diversi tipi di focalizzazione e dei diversi pensieri che abbiamo. Mi è diventato evidente che la focalizzazione intensa di certi tipi di meditazione può essere un portale verso l’iperspazio e un picco di consapevolezza in grado di trasportare il meditatore in un diverso stato della realtà. Ma può anche essere una pratica energizzante invece che tranquillizzante, che può aiutarci a ristrutturare i collegamenti neurali del nostro cervello per migliorare la nostra ricezione e trasmissione di intenzioni. […] [L]’intenzione richiede una focalizzazione iniziale, seguita da una sorta di abbandono, un lasciar andare tanto il sé quanto il risultato”. (2)

Tali affermazioni, in particolare l’ultima, risultano perfettamente in linea con gli aspetti essenziali del Training Bionomico Autogeno: “lasciare che tutto avvenga”, infatti, significa, non solo lasciare il “controllo”, ma anche e soprattutto imparare a mettere da parte ogni cosa, in primis la propria “importanza personale” (per dirla con Castaneda) e, in secundis, le aspettative nei confronti di un qualche tipo di risultato o obbiettivo che si pensa di raggiungere tramite la pratica del TAB.

Oltre alla McTaggart, anche Fred Alan Wolf (scienziato di fama mondiale nell’ambito specifico degli studi e delle ricerche in fisica quantistica), nell’opera The Yoga of Time Travel (3), afferma che “queste due capacità, quella di focalizzare e quella di lasciare andare, costituiscono la duplice attività di base della vita conscia. Mettendo a fuoco impariamo a controllare e padroneggiare le perizie di cui abbiamo bisogno per affrontare la vita, e lasciando andare impariamo a rilassare e a lasciar entrare il mondo senza giudizio”. (4)

In questo ordine di idee è possibile affermare che il Training Autogeno (in tutte le sue forme) risulta essere un valido strumento per sviluppare le due capacità di focalizzare e defocalizzare, che, da quanto è emerso, posseggono caratteristiche utili al manifestarsi di quelle potenzialità insite nell’uomo, solitamente inibite, che possono invece portarlo ad avvicinarsi ad una maggiore “comprensione” si sé e della vasta “realtà” (molto più vasta rispetto a ciò che spesso crede) che lo circonda.

(1) Cfr. Brancaleone F., (2010), TBA: Terapia Bionomico-Autogena, FrancoAngeli, Milano.

(2) McTaggart L., (2008), La Scienza dell’Intenzione, Macro Edizioni, Cesena, p. 140.

(3) Trad. it. Wolf F. A., (2007), Lo Yoga della Mente e il viaggio nel tempo, Macro Edizioni, Cesena.

(4) Wolf F. A., (2007), Lo Yoga della Mente e il viaggio nel tempo, Macro Edizioni, Cesena, p. 144.

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